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Procura di Arezzo, no del Tar alla riconferma di Rossi. Ora ricorso al Consiglio di Stato

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"E’ legittima la decisione del Csm di non confermare Roberto Rossi alla guida della Procura della Repubblica di Arezzo”. Il verdetto dei giudici della prima sezione del Tar del Lazio è stato depositato venerdì 19 giugno: respinto il ricorso del magistrato che chiedeva l’annullamento della delibera del Consiglio superiore della magistratura che aveva detto no alla sua riconferma al vertice della Procura. “Farò ricorso al Consiglio di Stato”. Non aggiunge altro Roberto Rossi, il magistrato sessantenne originario di Assisi, dal 1999 ad Arezzo prima come sostituto e poi procuratore capo che, negli anni, ha seguito inchieste come quella di Variantopoli, il caso di Martina Rossi, Chimet e la bancarotta Eutelia. Fino ad arrivare a Banca Etruria. Proprio le vicende dell’istituto di Via Calamandrei hanno finito con l’avere un peso determinante nella decisione di Palazzo dei Marescialli nel non dare l’ok a quella procedura che, ogni cinque anni e per due mandati, dispone il rinnovo nella carica di procuratore. Lo stop nei confronti di Rossi - che continua il suo lavoro come sostituto procuratore al terzo piano dell’ex Garbasso, uffici oggi guidati dal magistrato facente funzioni Luigi Bocciolini - è arrivato come un fulmine a ciel sereno lo scorso 24 ottobre. Partito il ricorso al Tar del Lazio contro la decisione del Csm, in questi mesi la vicenda ha conosciuto anche altri, parziali, verdetti: Rossi si è visto dar ragione a gennaio dallo stesso tribunale amministrativo che ha sospeso il bando del concorso deliberato per trovare il suo sostituto alla guida della Procura; una decisione poi confermata, nel mese di marzo, dal Consiglio di Stato che sarà di nuovo chiamato ad esaminare il fascicolo Rossi-Procura di Arezzo visto il preannunciato ricorso da parte del magistrato. “Oggetto della valutazione dell’organo di autogoverno” hanno scritto i giudici del Tar del Lazio. motivando la loro decisione, “non è stata l’opportunità delle scelte investigative svolte dal ricorrente nell’ambito dei procedimenti di indagine quanto, sulla base del dato di fatto del procedere parallelo delle indagini e dell’incarico extragiudiziario, l’inopportunità della scelta compiuta dal ricorrente di non comunicare allo stesso Csm il mutamento del contesto nel quale tale ultimo incarico si stava svolgendo, contravvenendo ad un obbligo di trasparenza e correttezza”. L’incarico è quello che lo stesso Rossi aveva svolto come consulente per il Dipartimento affari giuridici e legali della Presidenza del Consiglio. Un incarico iniziato sotto il Governo del premier Enrico Letta e conclusosi il 31 dicembre 2015. Roberto Rossi ha sempre respinto ogni contestazione circa un possibile conflitto con la sua attività di magistrato, tesi che lo stesso Csm aveva accolto in un primo momento, archiviando il procedimento che era stato aperto nei suoi confronti. Poi la decisione dello scorso ottobre di Palazzo dei Marescialli.