
Arezzo, più accessi al pronto soccorso. Mandò: "Il Covid è anche la malattia della solitudine"

"Si arriva a 90-100 accessi al giorno. La sera, qualche volta, c’è più gente. Durante la notte, quando arrivano le ambulanze, di solito sono i casi gravi. Abbiamo imparato che il Covid è anche la malattia della solitudine”. Massimo Mandò, responsabile del 118, anche lui colpito dal Coronavirus durante la prima ondata, è tornato in prima linea al pronto soccorso del San Donato. Non ci sono soste, pause e i turni sono tornati ad essere duri, sfiancanti “ma non possiamo chiudere”, dice. Il pronto soccorso accoglie malati Covid, sospetti positivi e anche chi ha altre patologie. C’è il triage in funzione per chi ha sintomi riconducibili al Coronavirus. “Ma un paziente Covid o sospetto tale - dice Mandò - richiede tempo per essere visitato. Non fosse altro che per l’attesa dell’esito del tampone. Poi ogni volta gli infermieri e i medici si devono svestire e rivestire. Non è facile e non si può liquidare una persona in pochi minuti”. I nuovi blocchi delle cure intermedie aiutano e aiuteranno a liberare il reparto di malattie infettive che adesso conta oltre cento ricoverati. “Per un pronto soccorso come questo di Arezzo avere già 90-100 accessi al giorno sono numeri importanti. Anche perché non esiste solo il Covid, ma ci sono pure le altre patologie. Un paziente colpito da infarto, per esempio, viene all’ospedale di Arezzo”. Per fortuna si sono ridotti quelli che sono i codici minori. Vale a dire le persone che prima del Covid accusavano sintomi lievi, ma che andavano lo stesso al Pronto Soccorso. “I codici bianchi o verdi, di quelli ne abbiamo meno. Prima anche per un minimo sintomo venivano in Pronto Soccorso”, sottolinea Mandò.
Poi ci sono gli orari. “Dopo le dieci del mattino e fino al primo pomeriggio sono quelli di maggiore afflusso, poi riprende la sera e la notte dove arrivano i casi gravi”. Mandò sottolinea che la sera, a volte, è la fascia dove la gente si riversa di più al San Donato. “Perché il Covid - spiega - è anche la malattia della solitudine e quando comincia a fare buio le persone iniziano ad avere paura e i sintomi si ingigantiscono. Così un male di testa può diventare qualcosa di più grave, a livello psicologico. E spesso questi malati chiamano, vogliono l’ambulanza, vogliono essere ricoverati, perché dà loro sicurezza piuttosto che restare da soli in casa, perché anche se si vive in famiglia si è soli comunque. L’isolamento e la televisione sempre accesa sul Covid fanno il resto”. “E’ a quel punto - dice ancora Mandò - che il paziente Covid comincia ad avere paura e ci chiama”. La notte invece quando arrivano le ambulanze con le sirene sono pazienti gravi. “Non è facile per nessuno. Per chi sta male e per noi operatori sanitari che siamo tornati a lavorare anche oltre l’orario dei turni e che ora chiediamo solo alle persone di non chiamarci eroi, ma di rispettarci”.