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Arezzo, moglie e amante controllati con gps piazzato sotto l'auto, giudice archivia l'accusa: non è reato

Luca Serafini
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Era accusato di aver installato di nascosto il tracker gps nell’auto dell’amante della moglie per seguire gli spostamenti della coppia, ma quest’attività di spionaggio “fai da te”, ha stabilito il giudice, non è reato. Il gip di Arezzo Giulia Soldini ha archiviato il caso dell’aretino che spinto dalla gelosia avrebbe monitorare i movimenti della coniuge fedifraga e del suo partner. La decisione è di questi giorni, il 29 gennaio, ed ha lasciato l’amaro in bocca al pedinato di cui tuteliamo il nome, come degli altri protagonisti della vicenda, ma riportiamo il concetto del suo disappunto: “Privacy violata impunemente. Allora tutti possiamo comportarci così... questa non è giustizia. Dovrei fare la stessa cosa con lui così siamo pari”.

 

 

 

La richiesta di archiviazione era stata avanzata dallo stesso pm, Chiara Pistolesi, e secondo il gip “è fondata” e pertanto “deve essere accolta”. Due i motivi: “il gps è strumento non idoneo alla captazione di riprese visive o sonore”, quindi non c’è stata un’ingerenza tale da essere punibile a termini di legge come “interferenze illecite nella vita privata” (art, 615 bis). In più, per giurisprudenza assodata “l’abitacolo di una autovettura non puo’ considerarsi luogo di privata dimora”. Insomma “mancano gli elementi costituivi del reato”. Il procedimento penale era incastonato in una storia di infedeltà. Lui, lei e l’altro. E l’altro, cioè l’amante, un giorno scoprì che l'ex marito della donna che frequentava lo stava controllando grazie al sistema satellitare. Si sentì violato nella sua vita privata e confidava in una punizione per il rivale.

 

 

 

Ma la procura fece notare che il tracker gps “consente esclusivamente la localizzazione” e non è, come prevederebbe il reato, “uno strumento di ripresa visiva o sonora in grado di carpire notizie o immagini attinenti alla vita privata”. Né si può contestare la “violazione di domicilio”, perché la macchina non è qualificata come privata dimora. Il pedinato ha tentato di scardinare questa impostazione opponendosi all’archiviazione. Ma dopo l’udienza celebrata a novembre, è arrivata adesso la doccia gelata dell’archiviazione. L'uomo ha sostenuto le sue ragioni con l’avvocato Annamaria Meazzini dello studio legale Brilli. Ma non è riuscito a fare breccia nel muro granititco di una norma che non lascia spazio a interpretazioni diverse. Lui scrolla la testa perché, dice, una cosa del genere può colpire tutti e “l'utilizzo indiscriminato e impunito dei Gps per controllare gli altri, è qualcosa di inquietante che attacca la sfera della libertà personale”.

 

 

 

A portare avanti le sue ragioni sono gli avvocati Elena Mafucci e Annamaria Meazzini. La scoperta del Gps fu casuale, facendo manutenzione all’auto. Sotto al portabagagli, legato ad un montante in ferro con delle fascette elastiche e avvolto da una plastica, c'era l’apparato elettronico. Un kit di facile reperimento, “tracker” più scheda telefonica (50 euro il tracciatore e 10 la scheda) rapidissimo da installare. L’uomo, 53 anni, presentò denuncia. I sospetti portarono al marito della donna. Era sicuro di aver subito un torto invece ha saputo che non c’è reato.