
Licenziato dal supermercato per due flaconi di gel per mani non pagati ma il giudice del lavoro lo reintegra

Dipendente del supermercato licenziato con l’accusa di essersi appropriato di due flaconi di gel igienizzante, ottiene il reintegro sul posto di lavoro.
L’uomo era stato fermato alla fine del turno fuori dal negozio da due operatori della catena della grande distribuzione e questi lo avevano ispezionato: all’interno di una scatola l’uomo aveva due confezioni del prodotto e per questo fu messo fuori dai ranghi dell’azienda “per giusta causa”.
Ma il giudice del lavoro di Arezzo, Giorgio Rispoli, ha dichiarato illegittimo il licenziamento. Le modalità del controllo, scrive in sentenza, sono fuori dalla legge e l’esito della verifica personale è nullo. Pertanto viene a cadere l’elemento di prova alla base del provvedimento e cioè che il lavoratore sia venuto meno al necessario rapporto di correttezza e di fiducia verso il titolare.
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La vicenda arrivata a sentenza in questi giorni al tribunale di Arezzo è ambientata presso un supermercato della provincia ed è incentrata su due flaconi di prodotto sanificante da un litro l’uno e dal costo di cinque euro ciascuno. E il 30 settembre 2020 quando il lavoratore, terminato il turno, esce nel piazzale e si dirige verso l’auto. Lo fermano due operatori dell’azienda che gli chiedono conto di un pacco che ha in mano. Glielo fanno aprire.
Dentro ci sono le due confezioni di gel, una delle quali aperta. Ciò che segue nei giorni successivi è l’interruzione del rapporto di lavoro per giusta causa. Che il dipendente, in forza dal 1998, impugna. La controversia arriva davanti al giudice del lavoro che analizza la questione e annulla il licenziamento senza neppure entrare nel merito delle altre argomentazioni sul tavolo, come l’esiguità del valore della merce e le giustificazioni addotte dal dipendente che invocava la buona fede: “Pensavo che le confezioni fossero da buttare, erano abbandonate in un carrello all’esterno”.
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Cuore della questione giuridica è, secondo il giudice Rispoli, la violazione dell’articolo 6 dello Statuto dei lavoratori in riferimento alle modalità con cui si possono effettuare “visite personali di controllo” sugli addetti. Non si possono fare “perquisizioni” mirate ma vanno concordate dal datore di lavoro con le rappresentanze sindacali aziendali o con la commissione interna o delegando l’Ispettorato del lavoro.
“Ciò in quanto, la ratio della disciplina legislativa” osserva Rispoli “è volta a garantire che tali visite personali di controllo avvengano con modalità il più possibile automatiche e neutrali in relazione alla scelta dei lavoratori da controllare, onde evitare che la parte datoriale possa, per tale via, rendere oggetto di controllo strumentale lavoratori nei confronti dei quali nutre (per le più svariate ragioni) motivi di risentimento, a guisa tale da precostituire vere e proprie trappole”. Tra azienda e lavoratore c’era tra l’altro una situazione tesa su questioni di trasferimenti, qualifiche e presenze.
La sentenza continua: “Ne consegue che gli accertamenti compiuti dai due incaricati -oltretutto al di fuori dei meccanismi di selezione automatica previsti dalla norma statutaria – devono ritenersi illegittimi ed inutilizzabili anche ai fini disciplinari”. E ancora: “Di conseguenza deve ritenersi insussistente – in senso materiale e giuridico – la giusta causa posta dalla società resistente alla base dell’impugnato recesso, in quanto fondata su accertamenti illegittimi ed inutilizzabili, con assorbimento di tutti gli ulteriori profili di doglianza”.