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Arezzo, medici tolgono rene sano: Asl condannata a risarcire la paziente, archiviazione per i dottori

Luca Serafini
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La diagnosi era sbagliata: il tumore non c’era. E fu un errore asportare il rene alla paziente. Ma per la storia della signora aretina che si è vista togliere l’organo senza che ve ne fosse necessità, la giustizia ha imboccato due strade diverse. In sede civile l’Asl è stata condannata a risarcire la donna (100 mila euro più 20 mila di spese legali) mentre sul versante penale è stata archiviata la posizione dei due medici finiti sotto accusa. La conclusione della amara e controversa vicenda sanitaria è stata scritta in questi giorni. Era cominciato tutto quattro anni fa con una caduta dalla bici: la 47enne fu visitata al pronto soccorso e accusava dolori addominali. Dagli esami saltò fuori quella brutta diagnosi: una neoplasia maligna sembrava minacciare il rene destro. Ed è per questo che si procedette con l’intervento chirurgico. Salvo poi riscontrare che il tumore non c’era, come accertato in modo scientifico ed inequivocabile dall’esame istologico successivo all’intervento. La diagnosi del tumore poggiava su una Tac che indicava la “sospetta lesione ad alto grado di malignità”. Questa, nel referto, la prosa sanitaria che indusse a correre ai ripari il prima possibile e nel modo ritenuto più efficace: l’operazione. Così per la paziente seguirono la pre-ospedalizzazione, il ricovero, la sala operatoria. Era agosto quando andò sotto i ferri e l’equipe le asportò l'organo: un intervento molto invasivo. Il tempo di sviluppare l’esame di laboratorio sul reperto, e arrivò la risposta a sorpresa: nessun carcinoma. Ma non si poteva appurare prima? Il lavoro con il bisturi non era evitabile? Da questi legittimi interrogativi è scattata la querela della paziente, seguita passo passo nella vicenda giudiziaria dall’avvocato Carlo Scartoni. Una biopsia o esame endoscopico / citologico avrebbe fornito indicazioni più esaustive ai sanitari rispetto alla macchia sospetta individuata dalla Tac. Questo il punto. La causa civile contro l’Azienda sanitaria, nonostante un percorso complicato, ha avuto la sua definizione con la sentenza che impone all’Asl di risarcire il danno provocato alla signora. Anche se rispetto alla cifra inizialmente definita, 140 mila euro, con il quarto giudice che si è occupato della <TB>questione, si è scesi un bel po’. E la donna ora attende i tempi tecnici per la riscossione. Quanto al processo penale, il giudice Giulia Soldini, in linea con la richiesta del pm Elisabetta Iannelli, ha archiviato il caso. Gli indagati - difesi dall’avvocato Luca Fanfani - erano due, gli urologi che seguirono ed operarono la paziente. Ai dottori - iscritti nel fascicolo per ipotesi di lesioni colpose - all’inizio si contestava una condotta negligente per non aver disposto ulteriori accertamenti clinici prima dell’asportazione del rene. Che il quadro diagnostico e conoscitivo fosse “insufficiente”, ed “erano necessari ulteriori esami”, lo riconoscono tutti. Ma il gup, esaminato il caso, sottolinea che mentre in sede civile questo può essere sufficiente per una condanna, nel penale occorre che vi sia un “nesso diretto” e vale il principio del “ragionevole dubbio”. Insomma bisogna essere sicuri, prima di condannare, e nel caso specifico, i medici che operarono a fronte di una diagnosi errata (da parte del radiologo mai indagato) se anche avessero disposto lo svolgimento di ulteriori approfondimenti diagnostici pre intervento, sarebbe comunque rimasto un margine di dubbio sulla natura maligna o benigna della formazione, che avrebbe comunque imposto in via prudenziale ad operare. Il rene, tra l’altro, qualche problema pare lo avesse. I medici, insomma, non avrebbero potuto ottenere elementi certi al cento per cento per capire prima la malignità o non malignità del problema. E durante l’operazione non vi erano evidenze tali per una immediata sospensione. L’avvocato Scartoni, da parte sua, aveva insistito affermando che a fronte di un quadro neoplastico inesistente e in un contesto di non urgenza, esami endoscopici avrebbero scongiurato il grave danno alla paziente: bastava un intervento di contenimento. Il legale sottolinea che vi furono, come affermato da un oncologo nel processo, violazioni alle linee guida (omissione di esami) aspetto sufficiente ad integrare il reato di lesioni colpose. Ma il gup ha deciso diversamente.