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Arezzo, uccide vicino che gli distrugge casa con la ruspa: legittima difesa? Il gommista Fredy che sparò al ladro resta in silenzio turbato

Luca Serafini
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Turbato dalla notizia, Fredy Pacini resta in silenzio: preferisce non commentare i fatti di San Polo. Il gommista di Monte San Savino che nel 2018 sparò al ladro entrato nel suo negozio officina a rubare e lo uccise, è diventato un simbolo della legittima difesa anche se lui rifugge dal ruolo di personaggio. La giustizia lo ha dichiarato non punibile per aver agito in una condizione molto particolare: “legittima difesa putativa”. Riteneva cioè di essere in pericolo di vita e si comportò di conseguenza premendo il grilletto della pistola, regolarmente detenuta, che teneva in ditta dopo la serie di furti e di tentativi di furto. Fredy ha appreso dal Corriere dell’omicidio e ci risponde al telefono con tono gentile ma fermo: “No, nessuna dichiarazione”. Il 61enne savinese del resto ha sempre accuratamente evitato di partecipare a talk show e trasmissioni televisive che lo hanno corteggiato e non intende concedersi neppure adesso.

Quando viene a sapere del fatto di sangue (l'accusa mossa per ora dal pm Laura Taddei per il 53enne Sandro Mugnai è omicidio), Fredy sta scendendo dalla bicicletta, sua grande passione, lo svago che pratica in una vita tutta dedicata al lavoro e alla famiglia. Si possono ravvisare analogie tra la vicenda della notte dell’Epifania alle porte di Arezzo, le fucilate esplose da dentro casa al vicino (Gezim Dodoli, 59 anni, originario dell'Albania) con la ruspa che sfondava l’abitazione, e quella del 28 novembre di quattro anni fa dal gommista savinese, ma ogni caso, si sa, fa storia a sé ed è prematuro avventurarsi in previsioni giudiziaria. Lunedì 9 gennaio alle 12 udienza di convalida dell'arresto davanti al giudice Giulia Soldini, indagini dei carabinieri di Arezzo).

Pacini presidiava la sua azienda stufo delle razzie, aveva ricavato una camera nel soppalco del capannone. Fu svegliato da rumori (nella foto il manichino per la simulazione realizzata dagli inquirenti). C’era una banda di delinquenti che rompeva la porta d’ingresso, era notte fonda, i malviventi - forse armati - non si fermarono alle intimazioni, Fredy avvertì di rischiare la pelle perché era solo e senza vie di fuga. Quelli, oltre a prendersi le biciclette e altro, avrebbero potuto ucciderlo, quindi esplose i colpi.

Due raggiunsero Vitalie Mircea Tonjoc, moldavo di 29 anni, e uno alla coscia fu mortale: dissanguamento. I complici in fuga trascinarono per un po’ il corpo del compagno poi si dileguarono. Fredy Pacini telefonò ai carabinieri, venne indagato per eccesso colposo di legittima difesa. Poi fu il giudice Fabio Lombardo con otto pagine di motivazioni spiegò l’archiviazione. Gommista non punibile anche se agì in modo eccessivo, avventato e precipitoso, affermò il giudice, che stigmatizzò pure il comportamento dell’imprenditore di installarsi nella ditta come vigilante di se stesso.

Tuttavia, applicando l’articolo 5 comma 2 della legge 36/2019 voluta dall’allora ministro Matteo Salvini che si schierò apertamente per Pacini e gli fece visita (“la punibilità viene esclusa se chi ha commesso il fatto per la salvaguardia della propria o altrui incolumità ha agito in stato di grave turbamento derivante dalla situazione di pericolo in atto”) e sostenendo il concetto di legittima difesa putativa (frutto di un comprensibile convincimento nella situazione di pericolo) il giudice chiuse il fascicolo. Accolta la linea difensiva dell’avvocato Alessandra Cheli e per il gommista un sospiro di sollievo: “La fine di un incubo, anche se non potrò mai cancellare quello che è successo”. E ieri, di nuovo, alla notizia della tragedia di San Polo, qualcosa è detonato dentro all’animo di Fredy.