
Arrivare a odiare per sentito dire

Odiare per sentito dire: siamo arrivati anche a questo. Tra le persone che hanno insultato via web Laura Boldrini, i cui post su Facebook sono stati opportunamente resi pubblici con tanto di nomi e cognomi dalla presidente della Camera, c'è anche una 61enne della provincia di Ascoli Piceno (noi non ne facciamo il nome). “Non so nemmeno io perché ho dato della poco di buono alla Boldrini” ha detto la donna a La Repubblica, ammettendo come tanti altri che si sono comportati come lei di non conoscerla nemmeno, di avere avuto sue notizie solo per sentito dire: “Sarà stata la rabbia per come mi sento quando torno dal lavoro”. L'intervistata dà una mano al marito in campagna: “Ho 61 anni, mi hanno rifiutato la pensione di invalidità anche se ho avuto tre interventi alla schiena. Dicono che non dipende dal lavoro, ma mi sono spaccata le vertebre lavorando prima nei tomaifici, poi nella cucina di un ristorante. Però devo aiutare in campagna, altrimenti non ce la facciamo”. E gli insulti alla Boldrini? “Non volevo offendere lei, era un insulto a tutti. Ero stanca, dopo una giornata in campagna, ho visto qualcosa che mi ha fatto pensare alle ingiustizie, ma non ce l'ho con lei, manco la conosco di persona, come faccio a giudicare? L'ho spiegato, è stata ignoranza”. Come valutare tutto questo? Per Mario Morcellini, prorettore alla comunicazione de “La Sapienza” di Roma siamo all'odio per procura, frutto avvelenato di alcuni aspetti tutt'altro che imprevisti della comunicazione digitale. “Colpisce che sia stato espresso con particolare violenza nei confronti di una donna diventata presidente della Camera; esalta i due elementi piuttosto tribali del nostro tempo : l'odio nei confronti di tutte le istituzioni (con in più il pregiudizio nei confronti della donna che non può avere successo per meriti) e l'incattivimento pregiudiziale prodotto dalla rete, in forza del quale sparare, attaccare a prescindere ti fa sentire moderno, coraggioso. Una forma di violenza più sottile e profonda della stessa violenza fisica”. Da non sottovalutare che gli insulti in questo caso (tra i tanti) siano stati espressi da una donna: “La rete è una forma distorta di disinibizione. Speri nell'anonimato, il coraggio di cui parlavo è solo virtuale: gratifica il fatto di poter sentire acusticamente le offese che uno lancia. Abbiamo le prove che in rete le donne e gli uomini sono indistinguibili fra loro: il sentirsi protetto (ma non sempre è così, come dimostra l'iniziativa della Boldrini di pubblicare gli autori degli insulti ricevuti) non trova baluardi nemmeno nel fatto che la destinataria delle male parole possa essere una donna come colei che gliele ha postate”. Una volta individuata e intervistata, l'autrice degli insulti “per sentito dire” ha fatto subito autocritica, in lacrime, dicendo di vergognarsi: “Un'autodifesa ancora più imbarazzante della minaccia. Sembra che abbia reagito a un tic automatico, lei stessa dice: non la conoscevo neanche. C'è un pregiudizio antipolitico, antistituzionale che fa male alle relazioni umane. Nessuno si è ancora accorto di quanto la diffusione dell'antipolitica sia una tossina che avvelena persino i rapporti interpersonali e trasforma le relazioni con gli altri in attrito con gli altri. La rete è la colonna sonora che amplifica questo attrito”. Facciamo in tempo a salvarci? “Solo se costruiamo qualche elemento di protezione. So che insorgerà subito qualcuno per ricordarmi che la rete non si può toccare: è impressionante quanto giri la minaccia “chi tocca la rete muore”, come per una scossa elettrica. Ma ci salviamo solo se la rete riesce ad autoregolare queste forme di estremismo verbale: allora sì che sarebbe giusto difenderne la libertà assoluta. Perché va detto con fermezza che la libertà non può impunemente offendere e violare la libertà degli altri. Mi dispiace sottolinearlo : in rete succede troppo spesso, qualche volta è successo anche nel giornalismo”.